Recensione album: "M!ssundaztood" di P!nk

Pink è una cantautrice conosciuta e ben vista da tutti per la sua grinta e per le sue sfacciate canzoni Pop-Rock come Raise Your Glass, etc, etc. STOP. Quante volte avete letto un post dedicato a Pink iniziare così? Fin troppe. Esattamente come l'introduzione qua sopra, credo che si prenda spesso questa cantante sotto gamba. Insomma, il grande pubblico riconosce il suo talento e la apprezza, però allo stesso tempo a me pare proprio che dietro a tutta questa positività nei suoi confronti ci sia anche dell'ignoranza. Oltre alle maggiori hit la gente conosce poco o niente su chi sia Alecia Beth Moore; quindi ho deciso di riportarvi indietro per 55 minuti all'ormai lontano 2001, quando Pink pubblicò a mio parere il lavoro più solido e personale della sua carriera, nonché il disco che la consacrò come una delle più grandi artiste femminili della nostra generazione: Missundaztood!









Non vi serve andare a vedere la sua biografia su Wikipedia, tutto quello che dovete sapere è contenuto qui, vi basta premere play ed ascoltare. La sua casa discografica l'aveva lanciata nel musicbiz giusto un anno prima con un album R&B (che ricalcava un po' i sound di moda all'epoca), Can't Take Me Home, ed ottenne un successo discreto nei paesi anglofoni. Tutto lasciava presupporre che Pink fosse la classica meteora anni '00 nel panorama della musica black avente uno/due anni di visibilità per poi scomparire velocemente dalle scene, ma la cantante non aveva ancora dimostrato minimamente le proprie reali capacità e così decise di fregarsene delle restrizioni a cui doveva sottostare: voleva poter esprimere il proprio stile musicale, voleva cantare delle canzoni che la toccassero direttamente, voleva essere più di "una delle tante"; e così fece. Pink divenne produttrice esecutiva dell'album e per la sua realizzazione decise di lavorare con Linda Perry e Dallas Austin, che hanno davvero tirato fuori il meglio da questa ragazza all'epoca poco più che ventenne. Non è Pop, non è Rock, non è R&B, è Missundaztood. Il progetto è un particolare ed azzeccatissimo mix di questi tre generi accompagnato da testi molto biografici riguardanti la sua assai turbolenta esistenza e non, che ci fanno "scoprire" una Pink inedita sotto tutti i punti di vista, ma che purtroppo (o per fortuna?, non troveremo nei dischi successivi. Ma adesso basta con i discorsi, passiamo alle canzoni!










1: Missundaztood



L'album parte con la title-track che dà il nome all'album, una midtempo scanzonata che cresce moltissimo con gli ascolti e che in fin dei conti può essere considerata come un'introduzione vera e propria al progetto. Con un sound volutamente molto semplice accompagnato anche da una chitarra nel ritornello, questo brano fa da "piazza pulita" alla discografia della cantante, quasi come se si ponessero delle nuove basi ad un nuovo edificio in costruzione: il suo debutto "ufficiale" come artista.

"There's a voice I am hearing saying it's alright, I was taken for granted but it's all good, cause I'll do it again I'm just misunderstood". Pink canta su come per tutta la sua vita si sia sentita incompresa da tutti; riferendosi in particolar modo al periodo di inizio carriera in cui le sue aspirazioni artistiche erano bloccate, ma nonostante tutto ciò lei non si è mai arresa ed è andata avanti. Il pezzo termina con Pink che urla euforica "THIS MY FIRST SINGLE MAAAN!"; possiamo iniziare ufficialmente il nostro viaggio all'interno di Missundaztood.



2: Don't Let Me Get Me



Ed ingraniamo immediatamente la quinta con il secondo singolo estratto nonché uno dei miei brani preferiti! Per anni ne abbiamo sentite e risentite di canzoni che inneggiano a quanto tutti noi siamo speciali, fantastici eccetera eccetera tanto da (almeno parlando per me) farmi talvolta annoiare lol; beh qui abbiamo l'esatto opposto. Pink descrive il profondo disagio con sè stessa che l'ha pervasa fin da quando era una teenager con un testo schietto e semplice, che però rivela ancora più malessere di quanto possa essere percepito dal modo scanzonato con cui canta.

 "Every day I fight a war against the mirror, I can't take the person staring back at me. I'm an hazard to myself, don't let me get me, I'm my own worst enemy. It's bad when you annoy yourself, so irritating. Don't wanna be my friend no more, I wanna be somebody else". Con questa traccia ci avviciniamo ad un sound particolarmente Pop-Rock, ma per niente scontato e ad ogni modo molto differente da quello che sarà presente in seguito negli anni a venire in pezzi come So What e Blow Me One Last Kiss. Sono molto legato a questo pezzo perché è il brano che mi ha fatto appassionare veramente a Pink. Prima la conoscevo per le sue hit più famose ma non mi ero mai interessato più di tanto a lei; tutto cambiò quando guardai per la prima volta (dopo molto tempo) il video della canzone girovagando in rete, lì mi ricordai di quella tipa stranissima coi codini fuxia che avevo visto anni prima su MTV quando ero un bambino e la (ri)scoprii musicalmente portandomi oggi ad essere un suo fan.



3: Just Like A Pill



Proseguiamo con l'ascolto e troviamo il terzo singolo estratto; un altro pezzo da 90, stilisticamente simile al precedente (se non addirittura su un livello ancora superiore). Just Like A Pill è considerato da alcuni fan il suo migliore brano fino ad oggi; io non sono completamente in disaccordo con quelli che la pensano così perché la trovo una canzone veramente fantastica, praticamente perfetta, ma per me anche andando avanti con l'ascolto di questo disco si può trovare perfino di meglio. Pink scrive su un'altra cicatrice del passato: la sua devastante dipendenza dalle droghe, in cui cadde quando aveva soltanto tredici anni spinta dalle cattive compagnie di amici che frequentava nel suo quartiere. La cantante paragona gli effetti della droga (il tentativo di scappare via/l'inevitabile attrazione a tornare nel circolo, l'iniziale effetto di sballo/le successive conseguenze disastrose) ad una relazione malsana tra due persone dando vita ad uno dei testi più incisivi della sua carriera. "I think I'll get outta here, where I can run just as fast as I can to the middle of nowhere, to the middle of my frustrated fears. And I swear you're just like a pill; instead of making me better, you keep making me ill"



4: Get The Party Started



Non c'è bisogno di presentazioni, ecco il brano che credo voi tutti già conoscerete, il lead-single che diede il via a questa era discografica. Forse potrà essere la traccia più "leggera" del disco, ma non per questo è di meno conto. "Aaaam coming up so you better get this party started" ed ecco comparire la Pink più "paninara" che conosciamo già tutti, la quale però stavolta si tinge di un contagioso beat più Urbaneggiante ed Elettronico. Il pezzo è un'esplosione che ti entra fin dal primo momento in testa per poi non uscirne più (nel senso più buono del significato), un primo singolo semplicemente perfetto nel suo intento senza però essere affatto banale.



5: Respect



Rimaniamo su sonorità simili ma stavolta influenzate da una originalissima nota Funkeggiante con la quinta traccia. Un anno prima della ben più conosciuta Can't Hold Us Down della Aguilera, esisteva già una girl-anthem di tutto rispetto (ogni gioco di parole non è puramente casuale), questa grintosissima Respect! Pink si fa fautrice del movimento femminista e schernisce gli uomini che trattano le donne come semplici oggetti senza valore, mostrando qui più che mai proprio un bel caratterino. Arricchiscono inoltre il brano le strofe cantate molto ritmatamente, quasi ""rappate"" (cosa del tutto anomala per lei), ed il testo sfacciatissimo e in diversi punti ad alto contenuto ironico. "Mirror mirror on the wall, damn I sure look fine. I can't blame those horny boys, I would make me mine". Questa canzone è l'unica contenuta in Missundaztood  che può essere assimilata alle tracce del primo album, anche se io la reputo di gran lunga migliore per il semplice fatto che qui si percepisce molto chiaramente la sua forte personalità, in Can't Take Me Home per niente.



6: 18 Wheeler



Dopo la piacevolissima parentesi Urban-oriented torniamo ad un brano sulla stessa vena di Don't Let Me Get Me e Just Like A Pill. 18 Wheeler è una canzone contro le difficoltà della vita, contro la gente che ti mette i bastoni tra le ruote. Da dedicare calorosamente a tutte le persone che alla fine della fiera sono state per noi solo degli ostacoli indesiderati. Nonostante tutto siamo ancora qui, vivi e vegeti, pronti al prossimo round. "You can push me out the window, I'll just get back up. You can run over me with your 18 wheeler truck, and I won't give a fuck. You can hangle me like a slave, I'll go underground. You can run over me with your 18 wheeler but you can't keep me down". Un brano con un mood del genere era giusto quello che mancava in mezzo a questo disco contenente già così tanti pezzi con tematiche diverse. Con questa sesta traccia comunque iniziamo a rallentare i ritmi, in vista della seconda parte di Missundaztood.



7: Family Portrait



Prima ballata del disco, e che ballata. Probabilmente si tratta della canzone più toccante che la cantante abbia mai scritto; infatti parla dell'assai disagiato e conflittuale rapporto trai suoi genitori, che terminò solo dopo anni di insostenibili litigi con l'abbandono di casa da parte del padre. Questo la segnò in una maniera davvero profonda ed in un certo senso fu la causa "dell'inizio della fine", della sua adolescenza totalmente sregolata e sofferta. "It ain't easy growing up in World War 3. Never knowing what love could be, well I've seen. I don't want love to destroy me like it did my familly". Così canta Pink, con gli occhi di quella bambina che ha visto la propria famiglia andare a pezzi, con un'interpretazione vocale quasi traumatizzante per quanto sentita; quasi sul punto di crollare per tutta la rabbia repressa per anni, indirizzata alla madre, al padre, ma anche a sè stessa. Nella nostra foto di famiglia sembriamo tutti persone felici, perché non può essere così anche nella realtà? Vi consiglio di prestare molta attenzione al testo, veramente uno dei migliori della sua carriera.



8: Misery



Probabilmente è questo l'apice non solo di Missundaztood ma anche dell'intera discografia dell'artista. Un duetto letteralmente senza tempo, realizzato con il grande Steven Tyler, il lead-singer degli Aerosmith. I due cantano trasmettendo tutto il loro tormento e la loro stanchezza su una raffinatissima base Blues-oriented riguardo al loro amore ormai tramontato, che però continua a trascinare con sè tristezza e dolore. Le voci struggenti e graffianti dei due cantanti si abbinano alla perfezione, lasciando spazio anche alla loro notevole potenza e dando vita ad un risultato da brividi. Ciliegina sulla torta la fantastica chitarra elettrica che appare nel bridge, che fa da trampolino di lancio verso il grandioso finale.



9: Dear Diary



Dopo probabilmente il momento più esplosivo del progetto ci troviamo davanti a quello più "stripped". Pink si rivolge al suo diario, l'unico "luogo" in cui lei si sia mai potuta sfogare liberamente riguardo gli sbagli che ha fatto nella sua vita e le frustrazioni da cui è stata tormentata. "I've been a bad, bad girl for so long, I don't know how to change what went wrong. Daddy's little girl... when he went away. What did it teach me? That love leaves". In questa traccia lasciamo da parte la potenza del canto per uno stile vocale quasi da canta-storie, accompagnato da una base molto semplice con la comparsa aggiuntiva di una chitarra acustica. Dear Diary è una di quelle perle nascoste all'interno di un disco che di certo non possiederanno mai le potenzialità per farsi notare dal grande pubblico ma che, proprio per questo, sono speciali.



10: Eventually



E qui ci si teletrasporta immediatamente in una dimensione ultraterrena. Una delle mie ballate preferite di Pink, Eventually è una rassegnata dichiarazione contro le persone false e ipocrite che si sono finte nostre amiche solo per derubarci di qualcosa, per un secondo fine. "Surrounded by familiar faces without names, none of them know me or want to share my pain. And they only wish to bask in my light, then fade away". Con un testo del genere ci aspetteremmo tutti un sound aggressivo e pieno di risentimento, ma invece è esattamente l'opposto: anche qui rimaniamo su toni molto soft, amplificati da una base raffinatamente "delicata" e dispersiva che ti avvolge completamente con dei delicati vocals quasi sussurrati; come se la cantante, dopo tutto il rancore che l'ha consumata, adesso ne sia semplicemente indifferente.



11: Lonely Girl



Torniamo ad un brano più in stile "ballata tradizionale" con l'undicesima traccia, uno dei picchi di questo album. Lonely Girl tratta di due temi molto delicati: la depressione e la solitudine, stati d'animo che Pink ha conosciuto fin troppo bene nella sua vita, i quali però lasciano trasparire anche una vivida speranza di poterne uscire. "Constantly pushing the world I know aside; I don't even feel the pain, I don't even want to try".

Il pezzo è strutturato come un dialogo tra una madre premurosa (figura che per molto tempo è stata assente nella vita della cantante -interpretata da Linda Perry in persona-) che cerca di confortare la propria figlia distrutta. La traccia è l'unica del progetto assieme a Get The Party Started e Misery in cui non ha partecipato al processo di scrittura, infatti era stata realizzata da Linda ben prima del suo coinvolgimento in Missundaztood, ma quando conobbe Pink capì che questa canzone era nata per essere cantata da lei e gliele donò.



12: Numb



Dopo una quasi interminabile successione di pezzi uno più fantastico dell'altro, ci fermiamo bruscamente con quello che io considero l'unico momento trascurabile del disco. Con questa canzone riprendiamo suoni più Pop-Rock, senza però raggiungere lontanamente i fasti del trio Don't Let Me Get Me, Just Like A Pill, 18 Wheeler. Il testo parla di una relazione finita male. Forse potrà anche non essere una canzone così malvagia ma sembra una demo incompleta e  il livello delle altre tracce è troppo alto per competere con questa.



13: Going To California



Scordiamoci subito del mezzo inciampo precedente per immergerci in questa superlativa slow-jam, anche qui, come in Misery, influenzata molto marcatamente da infusioni Blueseggianti. Forse però in questo pezzo la produzione è ancora migliore poichè è affrescata da uno stile molto retrò contenente anche strumentazioni particolari, tra cui il sassofono. Il brano parla del sogno quasi irrealizzabile a cui Pink ambiva quando era solo una ragazzina: andare per la prima volta fuori dalla propria piccola cittadina in Pennsylvania per cercare un futuro nel mondo della musica. Ma la cantante, sebbene fosse piena di speranze, sapeva bene che comunque non sarebbe stato facile poterlo realizzare con la gente che c'era "là fuori".



14: My Vietnam



 Concludiamo l'ascolto del disco con il botto. Il brano si apre su un campo di battaglia, dove rimbombano spari di armi da fuoco e rumori di veicoli aerei in volo, facendoci entrare nell'atmosfera di guerra celata nel testo. L'artista infatti parla del difficoltoso rapporto con la madre in cui era imprigionata, il "suo Vietnam", comparandolo con il luogo dove suo padre (militare dell'esercito americano) era stato spedito a combattere. Dopo il divorzio dei genitori Pink rimase a vivere con sua madre, la quale però non seppe fronteggiare la situazione; la cantante non si sentiva apprezzata e sostenuta da lei, la quale non mostrava nessun minimo segno di comprensione nei suoi confronti. Pink canta in maniera insofferente, quasi impassibile, su una base accompagnata da particolari venature di musica Country le quali ci mostrano invece una forte malinconia che è assente nella voce. "What do you expect from me? What am I not giving you? What could I do for you to make me ok in your eyes?". Verso la fine della canzone i vocalizzi si fanno sempre più distanti, per poi scomparire nella base e lasciare spazio ad un solenne assolo di chitarra elettrica che ci trascina al termine di Missundaztood.



Ci possono essere album belli e basta ed album belli costruiti direttamente sulla propria pelle di chi li crea, e questo appartiene all'ultima categoria citata. Credo che Missundaztood sia il suo capolavoro: i testi, il sound, tutto è unico ed irripetibile e proprio per questo sarebbe innaturale ed impossibile farne un seguito, ne verrebbe fuori qualcosa di finto. Pink ne ha passate tantissime da allora. Dopo la scivolata non solo commerciale ma anche personale con Try This si è ripresa alla grande con i due "gemelli": I'm Not Dead e Funhouse , entrambi molto simili stilisticamente, due mix letali costituiti da uptempo incisive e ballate intime. Neanche il tempo di rilasciare un greatest-hits e si risposa con il suo ex e diventa mamma, per poi rilasciare l'arciconosciuto The Truth About Love. Per fortuna ha nuovamente dato prova del suo talento con lo snobbatissimo side-progect total-Folk Roseave, rilasciato lo scorso autunno. Ne è passato di tempo da quella ragazza che era un pugno ad un occhio in confronto a tutte le sue colleghe fidanzatine d'America che andavano di moda in quegli anni, adesso Pink è una donna adulta, ed è giustissimo che sia così. Questa donna è una cantante, scrittrice, performer e soprattutto persona fantastica, spero che la recensione vi sia piaciuta e vi abbia fatto vedere anche qualcosa in più in lei che prima ignoravate.




Scritto da Alferrett





La valutazione concordata dallo staff di Booklet: 





 72/100



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